top of page

Objects

Nel film Il seme dell’uomo, realizzato da Marco Ferreri nel 1969, Cino, ex conservatore di museo, in seguito a un evento apocalittico comincia a collezionare oggetti, indipendentemente dal loro valore o provenienza. La sua raccolta va da beni di inestimabile valore a comuni suppellettili presenti in ogni casa. Indipendentemente dall’apocalisse, e al conseguente fatto che non vi sarà alcuna generazione futura a cui trasmettere la storia della civiltà umana, Cino sente l’esigenza di tutelare la memoria. Un museo-mausoleo costruito e costituito sui resti della civiltà, uno spazio mortifero in cui gli oggetti esposti, come reperti archeologici, segnalano la fine di un mondo. Un museo a cui manca l’orizzonte della memoria collettiva e che si fa mero passatempo.

Sono molti gli artisti che hanno fatto degli oggetti domestici la loro firma.

Michael Johansson, ad esempio, cerca di mettere ordine congelando le reliquie del Capitalismo in costruzioni immanenti, senza tempo. Allo stesso modo Jeff Koons defunzionalizza oggetti sottratti dalla vita quotidiana, elevandoli a cimeli, mentre Mark Dion rende la banalità degna di una wunderkammer.



Michael Johansson, Frusna Tillhörigheter, 2010
Michael Johansson, Merry Mirror, 2010

Dagli anni '90, l’americano Dion crea dei veri e propri armadietti delle meraviglie per l’epoca contemporanea: a esser messi sotto formalina non sono però esemplari naturalistici ma le loro repliche in plastica oppure oggetti di uso comune, dagli spazzoloni a vibratori in gomma. L’artista costruisce così una sorta di museo del consumismo in cui natura e cultura collidono e a tratti si confondono, ormai senza speranza di essere distinte l’una dall’altra.



Mark Dion, Institute for Invertebrate Marine Biology, 2017. Courtesy of the artist and Tanya Bonakdar Gallery, New York

Mark Dion, Universal Collection, 2016

Nel 2011, nel Principato di Monaco, con la mostra Oceanomania: Souvenirs des Mers Mystérieuses l’artista tocca temi ecologici indagando il mare e la tristezza legata al suo inquinamento a opera dell’uomo. Quattro anni più tardi draga un canale veneziano, diseppellisce reperti antichi e moderni dalle rive del fiume Tamigi a Londra, istituisce un laboratorio di vita marina e, in diverse occasioni, riorganizza le collezioni dei principali musei secondo i suoi sistemi di classificazione alternativi e spesso altamente soggettivi.


“Sto cercando di capire come siamo arrivati a questo folle percorso che sembra portarci oltre un limite del nostro rapporto con il mondo naturale. Se vogliamo capire come abbiamo evoluto questa relazione suicida, dobbiamo seguire le nostre tracce attraverso la storia e capire dove le cose hanno iniziato a deragliare.” - Mark Dion

La camera delle meraviglie trova, sin dai suoi albori, nell’accostamento indistinto di natura e artificio il suo carattere più specifico. Un’infinità di reperti viene diligentemente cercata e custodita secondo un solo comune denominatore che predilige tutto ciò che di strano e bizzarro si possa offrire allo sguardo. Come non pensare allora all’imbalsamatore Damien Hirst? Ha dato vita a neowunderkammer con i suoi animali immersi in formaldeide o le caleidoscopiche composizioni di farfalle. E ancora Jeff Koons con le sue prime serie di elettrodomestici, trofei contemporanei, al contempo critica la celebrazione del consumismo.



Jeff Koons, New Hoover Convertible, 1980

Grandi quantità di cose che riempiono le nostre vite, le nostre case, in questo momento luogo di prigionia. Uno spazio nel quale anneghiamo nel superfluo, nella sovrabbondanza, nel grande flusso di plastica, metallo, vetro, forme, cifra della nostra esperienza quotidiana, alimentato, proprio in questi giorni, dal Natale.


Michael Johansson, nato nel 1975 in Svezia, lo sa bene. La sua ricerca artistica nasce da un collezionismo quasi ossessivo di oggetti. L’artista sperimenta un processo basato sull’assemblaggio per esplorare le valenze simboliche degli oggetti, gli slittamenti di significato nel corso del tempo e la loro storia in relazione all’utilizzo che ne è stato fatto. Spingendo sempre i limiti spaziali delle sue composizioni, l'artista si diverte a dare agli spettatori uno spazio da indagare. Forme e colori sembrano essere indissolubilmente intrecciati, saldati insieme da un magnetismo sconcertante.



bottom of page