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In conversation with: TMT

Updated: May 31, 2022


TMT è un rapper emergente e originario delle Marche. Classe 1995 e stanziato a Milano, inizia a collaborare con produttori e rapper tra i quali raev e Metronome, provenienti dal collettivo milanese Circostanza.


Pubblica il suo primo progetto indipendente: White Fly. Tra le collaborazioni, una traccia con il rapper di casa Asian Fake Deriansky.


Il titolo (Mosca Bianca) esprime il concept centrale dell’album sfruttando l’espressione popolare che descrive una “persona o oggetto con caratteristiche particolari rispetto ai suoi simili”; un dato anomalo, un outlier. White Fly è un’esplorazione di nove tracce spaccata a metà tra la tendenza ad accelerare il flow su produzioni dal passo incalzante ispirate dall’hardcore e doomrap e un andamento più disteso e fuori fuoco, influenzato da una matrice più “conscious”.





White Fly è un'introspezione come sardonica seduta di auto-terapia d’urto. Un monologo surreale durante un infinito momento di alterazione psicofisica. Una perlustrazione delle paludi della quotidianità, dei suoi nichilismi a basso costo e cinismi metropolitani. I testi valorizzano il contenuto psicologico ed esistenziale come le interminabili catene di pensieri intrusivi. TMT si propone il compito impossibile di sbrogliare una matassa di pensieri inutili ottenendo in cambio l’intimità e perdita di filtri tipici dei messaggi vocali cancellati a tarda notte.


Il sound del progetto ibrida sezioni di basso scure e profonde proprie della grime e della scuola UK con programmazioni di synth acidi, saturi di glitch e ritmiche che variano dai boom bap alle batterie terzinate. TMT lancia le produzioni grazie a un flow tagliente che porta barre acuminate al centro dell’esperienza uditiva.






Ciao TMT, benvenuto Su T-Mag. E’ uscito il tuo primo progetto indipendente “White Fly”, un album dal sound hardcore e spietato, con al suo interno collaborazioni con artisti sorprendenti come Deriansky. Cosa ti spinge a voler ricercare questa fluidità sonora, ricca di contaminazioni, pronta ad accogliere e mai a rifiutare?


Ciao T-Mag e ciao a tutti i lettori di T-Mag. Grazie per avermi tirato in mezzo. L’intento dell’album, come suggerisce il titolo, è quello di ricercare un’identità propria, creare una corsia dove l’unica persona con cui vai veramente in competizione sei tu. Nel rap soprattutto, ma anche nella musica e in altri mondi creativi più in generale, l’attitudine tipica è di capire quali siano le formule che funzionano nel mercato in quel momento per poi replicarle. Questo è esattamente l’opposto dell’approccio adottato da me nel periodo di scrittura dell’album. Ho fatto tutto quello che mi passava per la testa in maniera abbastanza istintiva senza star troppo a badare a strutture preimpostate. Inoltre penso sia anche una conseguenza di attitudine personale, mi piace diversificare e conoscere più mondi piuttosto che chiudermi in un filone unico e confinato.

Il tuo sound spazia dal rap all’elettronica, quali sono i punti di incontro fra questi due generi tanto diversi quanto simili?

Personalmente ne riconosco due nello specifico: Il primo punto d’incontro è di matrice geografica, avviene in Inghilterra dove le due cose si sono fuse attraverso mcing e bass music. La maggior parte dei miei ascolti proviene da lì. Il secondo per attitudine hardcore, che a tratti diventa minimo comune denominatore di entrambi i generi. Per me fare una performance live, ma anche assistere, è una questione di adrenalina. La scarica arriva sia quando l’MC di turno chiude una barra che ti colpisce che quando il DJ manda una traccia con una bassline che ti perfora le membrane e arriva diretta al cervello. Questa meme rappresenta bene la scarica di cui stavo parlando.


Quale aspetto ti colpisce particolarmente della club music e del mondo dei sintetizzatori?

Le situazioni e i contesti prima di tutto. Prediligo quelli con un po’ di marciume che rende tutto più reale (c’è qualcosa di stranamente appagante nel ballare e rendersi conto a un certo punto che la suola fa fatica a staccarsi dal pavimento). Poi ancora l’energia che sprigioni quando ti trovi in questi contesti, i legami che si creano quando vai in batteria con i tuoi amici verso una situazione di festa e torni indietro. Dei sintetizzatori mi piacciono i suoni acidi, la profondità dei bassoni, la saturazione. Non sono un grande esperto ma mi verrebbe da dire che c’è del calore nei suoni che buttano fuori, e questa cosa può essere confermata dal gatto di un mio amico che dorme a fianco alla sua 606.



White Fly, ovverosia mosca bianca. Cosa significa per te questa metafora? Senti di essere diverso, una sorta di oltreuomo nietzschiano alla ricerca di se stesso che evita in tutti i modi “mosconi” fastidiosi?


Questa metafora che mi ha colpito dalla prima volta che l’ho sentita (molto tempo prima di iniziare a fare rap). Per me sta a significare sia accettazione che ricerca di se stessi con l’auspicio che il risultato giustifichi le intenzioni. Mi spiego meglio: una persona può avere uno stile che non è necessariamente il più originale ma che comunque spacca ed è suo

senza essere assolutamente personale, tra l’altro è anche il comportamento tipico degli emergenti quello di fare dei lavori in cui si emula uno stile lavorando sulla tecnica per poi affermare la propria identità con dei lavori successivi. Con White Fly ho voluto sperimentare, a volte anche a discapito della fruibilità. Detto ciò nonostante ci sia una chiave di lettura critica che identifica quei “mosconi” fastidiosi con le persone che assumono una serie di comportamenti o attitudini che si normalizzano solo perché “lo fanno tutti”. L’obiettivo finale non è quello di mettersi al di sopra degli altri. Anzi, lo scopo è proprio quello di affermare sé stessi facendolo a modo proprio disinteressandosi degli altri. A questo proposito mi rifaccio alla definizione statistica di outlier, ossia un dato anomalo non rappresentativo della popolazione da cui viene campionato, senza essere né migliore né peggiore.


Nell’album si parla anche di “Signore delle mosche”: un’allusione a Belzebù, utilizzata anche nell’omonimo romanzo di William Golding. Cos’è per te il male? E’ un concetto che più ti affascina o spaventa?


Tolti i poli di male assoluto e bene assoluto, per me il male è quella pozza grigia dove nessuno prende parte o prova a capire quali sono i problemi nelle cose o tra le persone. È l’indifferenza: accettare lo status quo delle cose. Alla fine, in un certo senso ci fa comodo; questo è il male che cerco di combattere quotidianamente. Poi c’è il male inteso da un punto di vista di società. Ciò che è “canonicamente” sbagliato. Quel male, al contrario, a tratti mi stuzzica. Mi verrebbe da dire che mi piace giocarci e testarlo proprio per capire quanto una concezione sia tale perché data a priori, e quanto invece a volte un fondo di verità c’è se determinati comportamenti o abitudini sono date per sbagliate.


Io voglio tutto quanto, una vita al massimo”. Torniamo al concetto di “oltre”. Hai una tua comfort zone o credi che le barriere debbano essere distrutte a priori, inseguendo in ogni caso “l’irraggiungibile”?


Penso che ci sia una dimensione in cui il possibile e l’impossibile non debbano essere necessariamente contemplati e penso che ce ne sia una invece in cui bisogna tenere i piedi ben fissati al terreno: la prima è quella delle aspirazioni, dei “sogni ad occhi aperti” e delle idee che sono il motore di un comportamento reale; in questa dimensione si guarda la metà piena del bicchiere. La seconda è quella della concretizzazione in cui bisogna fare appunto i conti con la realtà e capire in maniera fredda e senza fantasticare cosa devi fare, quali nodi devi slegare per poter arrivare alle aspirazioni iniziali, e anche ridimensionarle momentaneamente per inquadrare qualcosa di raggiungibile; in questa dimensione invece si guarda la metà vuota. Quella della comfort zone è un’altra delle mie battaglie personali, attraverso la quale cerco spesso di entrare a contatto o di comprendere cose distanti da me perché penso che l’attitudine umana, soprattutto in questo periodo storico, sia al contrario molto dopaminergica: fare solo quello che ti va, fare solo ciò che ti conviene e che dunque ti fa piacere. È una zona scomoda quella che mi spingo ad abitare, una “discomfort zone”, e bisogna stare attenti a non concedersi troppo perché si rischia sia di farsi del male che di venire sovrastati dal mondo esterno, ma a tratti è la più appagante. L’importante è fermarsi prima di schizzare.



Quali sono gli artisti che credi si avvicinino maggiormente al tuo modo di essere e comunicare attraverso la musica? E perché?


Mi stai chiedendo di scoprire le mie carte…tralasciando che chi mi conosce sa benissimo da quali mazzi vado a pescare, il mio tentativo in assoluto è stato sempre di cercare di capire quando un’artista mi colpisce, qual’è la cosa che mi colpisce e come posso tradurre e reinterpretare quella cosa all’interno del mio mondo. A volte è più una cosa di stile o di attitudine, a volte invece più di contenuto. Non essendo un ragazzo “di strada”, gli artisti che fanno quel tipo di rap mi hanno affascinato più per il loro modo di comunicare, la loro aggressività, l’impatto. Per il contenuto ho prediletto invece artisti con una vena più conscious, a tratti introspettivi a tratti critici che comunque hanno voglia di dire la loro riguardo cosa secondo loro non va nella nostra società. Ad ogni modo un nome te lo faccio: JME, fratello di Skepta. Mi fa impazzire il modo in cui si sia sempre presentato per quello che è con zero velleità criminali (tipiche del mondo rap) ma con una cazzimma e un attitudine che rendono credibili cose che dette da chiunque altro potrebbero sembrare da nerd.


Esiste un contrasto tra TMT l’artista e Tommaso la persona? Riesci a far dialogare le due parti e rimanere coerente con te stesso oppure, a volte, inizi ad oscillare in modo irregolare tra un modo di essere e un altro?


Il contrasto c’è e penso che sia evidente soprattutto per chi mi conosce. Sono una persona molto cordiale e educata e penso che il conflitto sia una cosa che possibilmente vada evitata e risolta col dialogo. Al contrario dentro le mie tracce, proprio per sfogo, caccio fuori tutta la merda e i demoni che mi girano in testa ma che tengo in gabbia proprio perché tirarli fuori spesso fa più danni che altro. Il processo artistico fa parte proprio della auto-analisi. Spesso mi sono chiesto perché ho così tanta rabbia e perché butto fuori certe cose piuttosto che altre. Detto ciò TMT esiste e fa necessariamente parte di Tommaso, e devo dire che riconoscere questa parte di me a tratti mi ha anche aiutato a capire chi sono.


Cosa ti aspetti nel futuro di TMT? Com’è il “mondo nuovo” che vorresti abitare?

Onestamente non mi aspetto nulla, ho capito che qualsiasi cosa faccio la devo fare io in primis, per me e per i pochi che la fanno con me e che mi seguono. Il mondo nuovo che vorrei abitare è talmente distante da questo che non mi conviene neanche immaginarlo, detto ciò la mia unica speranza è che la persona che sei, sia nel quotidiano che lavorativamente, torni ad avere del peso in più rispetto a quello che fai: puoi essere un’artista fortissimo che fa e dice delle cose significative, ma se metti continuamente il tuo ritorno personale davanti, rispetto a ciò che invece potresti dare in più agli altri fai parte di quella meccanica viziata dell’entitlement per cui va a finire che fai parte degli stessi processi che magari critichi.





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