What if: senza la minigonna – Francesca Liberatore, Giorgia Andreazza e Max Zara
di Edoardo Bertazzoni

Voglia di cambiare, emancipazione, rivolte culturali e ribellione femminile contro il
maschilismo: questa è la spinta innata che ha portato le donne a rivelarsi. Questa è la
minigonna!
Può essere lunga, può essere corta. A dir la verità può avere diverse misure, di cosa parlo? Della gonna,
uno dei capi iconici e vivi del ‘900. Esistono tante gonne, maxi, midi, above calf, knee lenght, short, fino
ad arrivare alla protagonista più discussa: la mini gonna (e la micro, evoluzione maggiormente audace
della sua progenitrice, capace di riprodurre l’effetto “cintura”)
1963, Mary Quant, Londra – che diventerà sempre più swinging scossa da rivoluzioni culturali. Compare
per la prima volta nella vetrina del negozio Bazaar la minigonna, il capo di rottura con l’immagine
maschilista della ‘donna madre’ che ha scosso gli animi, sviluppato tendenze e anticipato lo street-style.
Per adempiere al meglio al mio compito informativo dedico qualche parola alla difficoltà di attribuzione
della natalità della miniskirt.
A quel tempo, sulla scena si muoveva il genio di André Courrèges che la
propose in molti modi differenti modificandone le forme, raggiungendo così la linea a trapezio, i tessuti,
tra cui vinile e plastica, pattern, colori e così via. Il carattere innovativo dello stilista ha influenzato il
lavoro di altre icone del fashion system come Yves Saint Laurent e Balenciaga.
La diatriba si può dichiarare conclusa con l’affermazione di Mary Quant:
“Né io, né Courrèges, abbiamo avuto l'idea dellaminigonna. È stata la strada ad inventarla.”.
Queste parole sovvertono la tendenza della moda, che Simmel aveva accuratamente trattato introducendo la Trickle-down theory, dimostrando che la creatività stilistica proveniva dal ‘basso’, ciò che viene tutt’oggi definito come Bubble-up.
Accorciare la gonna, quindi l’atto di tagliare meno tessuto, era carico di dettagli che contribuirono a
rendere famoso il capo. Indubbiamente la produzione della minigonna presentava vantaggi economici, ma
gli aspetti che l’hanno resa realmente rivoluzionaria sono: il bisogno di cambiare permettendo alle donne
di gridare e far sentire la propria voce, l’emancipazione femminile per valorizzare la donna
considerandola anche al di fuori del contesto famigliare e la richiesta di maggiore libertà di movimento, e
non solo.
La porta bandiera di questa ‘rivoluzione’ è la modella adolescente e magrissima, Twiggy, seguita da altri nomi altisonanti come Jackie Kennedy e Brigitte Bardot.
Se da un lato ci sono i cambiamenti e i successi, dall’altro ci sono le critiche rivolte alla minigonna
considerata simbolo della mercificazione femminile, tornando a parlare della donna-oggetto.
Mettiamo una spunta sulla voce “commento positivo” e un’altra su “critiche negative”, questa continua
conversazione continuerà, ma non diminuirà la fama della miniskirt, né la farà dimenticare, anzi gli anni
‘90 diverranno un altare per quest’abbigliamento. Saranno, infatti, Gianni Versace, Karl Lagerfeld e Yves
Saint Laurent a farle spiccare nuovamente il volo.
Fino ad arrivare ai giorni nostri con le evoluzioni culturali e sociali, con i gusti che cambiano, con le mode che si alternano, così da portare la gonna – non solo la mini – in molti guardaroba, compreso quello maschile affermando la gender fluidity. La precisazione più importante da fare è: non si parla di uomini che si vestono da donna e viceversa, ma il distacco con questa percezione arcaica e la fine con l’identificativo abiti maschili e abiti femminili.
Partendo dell’unisex degli anni 60, la presa di coscienza delle persone ha portato all’evoluzione del
concetto. La gender fluidity ha permesso un’esaltazione del proprio corpo, valorizzandolo con i doni della
moda, rompendo le barriere che impone la società e i suoi insegnamenti – ricordiamoci l’assurdità dei
colori: il rosa per le femminucce e l’azzurro per i maschietti.
Grazie a stilisti internazionali come Thom Browne si parla sempre più di fluidità che ha permesso uno scambio e un’interazione maggiori tra armadi diversi. David Bowie, Kurt Cobain, Jared Leto e Jaden Smith sono solo alcuni dei nomi di celebrità che hanno mosso i propri passi a favore della gender fludity.
Da un taglio di forbici alla minigonna. Un viaggio che dura decenni: dai ‘60 ad oggi.
Rivoluzioni e conquiste. Emancipazione. Unisex e Gender fluidity.
Tutto questo è avvenuto grazie alla minigonna che è riuscita a trovare validi alleati. Allora mi domando: cosa sarebbe successo se la minigonna non fosse mai comparsa?
Al quesito hanno risposto tre figure femminili che vivono la stessa realtà, ma con occhi ed emozioni diversi: Francesca Liberatore, Giorgia Andreazza, Max Zara.

E.B. Se non fosse esistita la minigonna che impatto avrebbe avuto sulla nostra estetica e società?
F.L. Io penso che in qualche modo questo tipo di liberazione ci sarebbe stata in un processo evolutivo. Se
non l’avessimo avuta a quel tempo, probabilmente si sarebbero trovati altri escamotage o altre soluzioni
per scoprire parti del corpo. Può darsi che la gamba non sarebbe stata un elemento così sexy, però il fatto
di volerla liberare e renderla sexy nasce a priori. Fanno loro stesse nascere la percezione. Prendiamo per
esempio Vidal Sasson, qui stiamo parlando di tagli di capelli che hanno creato l’intera immagine. Quindi
secondo me la cosa fondamentale non è tanto la minigonna in sé o quanto ha impattato la società, ma è
tutto quello che le ha girato intorno che ha reso quello stesso modo di liberazione.
G.A. Se non fosse esistita la minigonna probabilmente mancherebbe un tassello al nostro glorioso passato
femminile che colleziona vincite e sconfitte ma sicuramente colleziona casino.
Anche noi finalmente con tale avvento abbiamo fatto sentire ciò che volevamo, l’affermazione della
donna, seguita dall’introduzione della pillola anticoncezionale che fu un cambiamonete radicale,
finalmente una nostra SCELTA in formato medicinale. Forse oggi io avrei meno coraggio..ma grazie alla
nostra attuale società dove davvero esiste una community data dai nostri social sono certa che questo
casino lo si possa portare avanti ed espandere più in là possibile.
M.Z. Per me, la minigonna è una dichiarazione di indipendenza. Offre alle donne la scelta di esibire i loro
corpi e indossare tutto ciò che le fa sentire comode. Mentre noi viviamo in un’epoca in cui le donne sono
iper sessualizzate e indossano abiti più rivelatori, la minigonna rimane un la minigonna rimane un
prezioso simbolo culturale in quanto, in modo cruciale, rappresenta la libertà di scelta.
Nel complesso, credo che se la minigonna non esistesse, l'impatto per le donne sarebbe meno
confortevole e con meno scelta. Tuttavia, mi chiedo spesso perché la conversazione sia così spesso
incentrata su ciò che le donne scelgono di indossare. Come società, dobbiamo riconsiderare il nostro
atteggiamento nei confronti dell'abbigliamento femminile in modo che le donne si sentano in grado di
presentarsi nel mondo in un modo che le faccia sentire libere da giudizi.

E.B. Come, questa assenza, avrebbe influenzato il tuo lavoro creativo?
F.L. Personalmente il mio giocare con la minigonna e con le lunghezze non è legato né a un moto
femminista, né a un moto rivoluzionario, non è relazionato a tutte quelle cose che noi attribuiamo alla
minigonna. Il mio giocare con le lunghezze è un giocare con volumi e proporzioni quindi è un misto tra
corpo e abito che creano un tutt’uno, quindi è come creare una sorta di scultura. Creo un’immagine, creo
una visione, poi è il sentimento che metto dentro la collezione a guidarla.
L’elemento minigonna per me, ad oggi, non è più una cosa rivoluzionaria, non è più una cosa sexy, non è
più una cosa che solo le donne usano e gli uomini non possono usare. Oggi come stilista io la uso
esclusivamente come parte della struttura che sto creando che in quel momento mi piace in quel modo.
Quindi la utilizzo in base alla donna di oggi e a quello che secondo me può renderla sexy. È un giocare
sulla donna contemporanea piuttosto che sull’elemento che sto riutilizzando.
G.A. Le mie creazioni esaltano la femminilità assoluta, la consapevolezza del proprio corpo e
l’esaltazione di essa. I miei capi tendono molto a scoprire anziché coprire. E se dovessi fare un passo nel
passato credo che nella colorata anni ‘60 ci sia stata una vera e propria presa di posizione nel “manifestare
manifestandosi”. Finalmente un semplice indumento dava voce a un cambiamento sociale, urlava in modo
sfrontato la presa di posizione con l’ eleganza e la dolcezza di noi donne.
E se potessi proiettarmi in un futuro, cambiando il passato, abolendo questa tale azione sicuramente la
mia idea di moda ora sarebbe percepita come oscena e volgare.
M.Z. Sono sicura che se la minigonna non fosse esistita, un altro capo che dona lo stesso livello di libertà
sarebbe stato inventato. Nella storia, specifiche parti del corpo sono diventate punti fissi dell’ossessione
culturale . Una modesta vista della caviglia ha persino provocato intrighi. Quindi, se la minigonna non
fosse esistita, sono sicura che i designer avrebbero trovato altri modi di giocare con l’arte di scegliere e
rivelare. In assenza della minigonna, sono fiduciosa che continuerei a progettare in un modo che si
appoggia alla natura rivelatrice innata che credo risieda in tutti noi. Come designer mi concentrerò sempre
sul libero movimento del corpo. Creo pezzi che non sono necessariamente definiti come una gonna o
come un abito. Potrebbero essere entrambi allo stesso tempo. Quindi, gli indumenti esistenti non hanno
davvero un effetto sul mio processo creativo, di più, mi piace credere che influenzino la sua futura
percezione pubblica. Se la minigonna non fosse esistita sono sicura che la gente non sarebbe abituata
all'idea di un capo di abbigliamento rivelatore.
