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STUDIA!

“Questa camicia è da femmina. Un uomo non se la può mettere.”

Ma chi decide che cos’è da uomo oppure da donna? Che cosa è bello o brutto? La moda è strana, è potente. È pornografica. Resta sulla nostra pelle e ci accompagna ovunque. La moda ci definisce. La moda non sono i vestiti.

I vestiti servono per due cose: a proteggerci. Dal freddo, dal caldo. E a uniformarci. Al lavoro che si fa, al contesto sociale, alla religione. La moda invece serve per differenziarsi. Per scrivere la propria storia. E a volte la storia, quella con la S maiuscola.

Prendete la guerra in Ucraina, dove si sfidano Davide e Golia. Da una parte c’è Volodymyr Zelens’kyj. La sua maglietta verde militare è la fionda della resistenza, un manifesto così potente da creare un’icona, da risvegliare l’Europa, da motivare un intero popolo. Dall’altra c’è Putin, un Golia imbottigliato in una giacca da 12 mila euro, un pezzo di stoffa così forte da smascherare da solo tutte le bugie raccontate nello stadio di Mosca.



La moda, poi, può essere anche un travestimento, come quelli dell’eterno Carnevale di Matteo Salvini. Il problema, però, è che tutti si dimenticano i proclami e le giravolte di Matteo. Ma nessuno si dimenticherà mai della sua T-shirt col volto di Putin. Dalla guerra e da certa politica non si impara nulla.

Dalla moda, invece, si può imparare molto. Se imparate a vestirvi coi vostri pensieri, i vostri abiti diventeranno il vostro destino.

Infine, un consiglio per Matteo. Ma anche per tutti. Quando le persone chiedono a Miuccia Prada come si fa a essere alla moda, come si fa a essere eleganti, lei risponde con un semplice verbo: "studia!” (Simone Marchetti - Vanity Fair).


Mi poggio allo specchio, rifletto riflesso. Penso al fatto che i qualunquisti del ragionamento facile non debbano mai pagare il conto per delle scelte azzardate ,o meglio, scelte coraggiose. Nella maggior parte dei casi si riempiono la bocca con l’importanza della normalità per lasciare tutti di buon umore, senza scuotere il laghetto di ipocrisia cosicché il fondale pieno di merda non venga a galla. Ogni tanto però è giusto lanciare un sassolino o meglio, un macigno.


Mi volto e mi guardo di nuovo allo specchio, ed eccolo lì il mio vestito pieno di pensieri, quello che cerchi di non guardare per una specie di ricatto sociale, per la paura di giudizio, perché essere ordinari è meglio che rimanere sulla soglia del pensiero comune.


“Ma chi decide che cos’è da uomo oppure da donna?”. Allora STUDIAMO.

Gli stereotipi e le parodie sull’omosessualità hanno quel sapore di bar di provincia della domenica pomeriggio: omuncoli adagiati su amari, sigarette e fuorigioco non segnalato, e tu, SI PROPRIO TU sei la miccia; ai loro occhi risuoni come un dolce flambè in una puntata di vite al limite. Si proprio tu, tu che vuoi avere più panni da vestire, avere esperienze diverse. Esigere la gestione dello spazio di libertà; la Moda è patrimonio culturale dove nulla e assodato, tutto è scivoloso, una viscida multibinarietà culturale.


Negli anni Sessanta, con l’irruzione del consumo di massa anche la moda rivedeva i suoi confini: quelli tra maschile e femminile. Si creava una frattura irreparabile tra genitori e figli. Questa distanza diventava tratto distintivo, segno di identificazione e specchio per riconoscersi e riconoscere gli altri (giovani). “Nella moda è l’età che è importante, non il sesso” (Barthes 1970). Proprio per la fralezza emotiva dell’adolescenza e la mancanza di modelli precedenti, i giovani si inventarono una nuova vita, una nuova Moda.

I mods inglesi diventarono protagonisti; come in quello femminile (pantaloni) anche nel versante maschile crollarono alcuni tabù come la cura per il corpo e per l’abbigliamento: dall’eyeliner alle acconciature liberate in new french line. Le strade, i locali notturni e i piccoli negozi nelle zone metropolitane diventano scenario principale di questo cambiamento; l’opulenza non era più sinonimo di moda. La rappresentazione del contemporaneo aveva il volto di Mary Quant.

Molti muri caddero ridefinendo il significato di maschile e femminile.





Vince a CarnabyStreet, negozio che offriva pantaloni aderenti, camicie psichedeliche, proponendo nei capi maschili quelli che un tempo erano ritenuti gusti femminili. L’identità di genere si perdeva tra la fumosa nebbia londinese, la smania del cambiamento penetrava nella società; la moda faceva (e fa) politica.


La Moda è democratica se rappresentativa della singola persona; lottare per apparire come si vuole non si può ridurre ad un concetto puramente estetico.

Dal “Tax The Rich” della deputata DEM Alexandria Ocasio-Cortez, alla lotta al climate change di Vivienne Westwood, tutta la moda ragiona e si lascia studiare, si mette a disposizione e si lascia amare.


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