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IN CONVERSATION WITH: VINCENZO PIZZI






Vincenzo Pizzi, sound designer laureato allo IED di Roma, rivolge di frequente la sua produzione musicale al mondo dell’audiovisivo, firmando lavori per Vogue, Marie Claire Red Bull, TEDx, Bvlgari e altri ancora. Dal 2016 è capo della sua label, Pyteca, con la quale esplora e sperimenta nel campo della musica elettronica senza farsi mancare influenze IDM, electro, techno e suggestioni visive dalla video art. Gli abbiamo fatto qualche domanda In occasione dell’uscita del suo nuovo album, “Archivio”, il 28 settembre 2020…



Come nasce la tua passione per la musica e come sei arrivato ad incorporare influenze legate alla dimensione della musica elettronica nella tua produzione?


Principalmente vengo da un background completamente diverso dalla musica techno e dalla musica elettronica perché quando ho iniziato ad ascoltare musica sono partito dal punk, dall’hardcore punk, tutte cose molto, molto più “rock”, molto più suonate ed ero fissatissimo con quel genere musicale. Mano a mano, ho iniziato ad andare un po’ più sull’electro punk, ad esempio con i The Rapture, i Klaxon, i Mindless Self Indulgence e da lì ho cominciato ad ascoltare sempre più musica elettronica però partendo con i Kraftwerk, i Tangerine Dream, Aphex Twin, i The Chemical Brothers, Daftpunk e quindi è stato tutto un percorso musicale molto, molto lungo. Soprattuto mi ricordo che, stando a Miranda che è un mini paese del Molise, non c’era esattamente una conoscenza musicale o comunque altri amici che ascoltassero cose diverse con cui confrontarsi, passavo parecchie giornate chiuso in camera su un sito pazzesco - che non ho mai più trovato- dove c’erano raccolte le cover, tutte catalogate per artista, brano, genere, eccetera… e tu potevi scaricare ciò che volevi -illegalmente. Da lì ho iniziato a farmi una cultura musicale un po’ più varia. Come periodo era circa il 2006-2008. Da lì, ho cominciato (ndr. a fare musica) un po’ per gioco. Ero un po’ annoiato perché mi allenavo tutti i giorni, facevo nuoto agonistico, quindi mi allenavo tantissimo e facevo principalmente quello. Fondamentalmente, non sapevo che altro fare (ride); quindi un po’ perché mi piaceva, un po’ ero curioso di iniziare a mettere mano e creare, ho comprato il primo Novation Launchpad


Ma quindi tutto questo prima di cominciare il tuo percorso di studi musicali e del suono?


Sì, era il periodo del terzo liceo quindi non avevo proprio ancora iniziato a fare nulla, però per sfizio mi sono detto “Sai che c’è, mi interessa questa cosa forse mi può piacere” ed era uscita la versione free di Ableton Live, da lì ho cominciato a fare qualcosa. Quindi dalla terza alla quinta superiore ogni tanto suonavo, così, con gli amici, chiudevo qualche traccia, ma era ancora tutto molto “per aria”…


Quando hai cominciato a studiare per davvero?


Dopo il liceo ero indeciso se andare a fare psicologia o musica elettronica, quindi due cose proprio totalmente diverse, e prima di andare allo IED ho trovato una scuola di musica elettronica a Napoli, un’accademia privata, dove tenevano un corso completo di musica elettronica, sound design, mixing, mastering. Ho deciso di provarci per capire se era solo una passione o nella vita volevo fare realmente questo e quindi ho fatto quel corso. Mi ha fatto capire che volevo fare veramente musica per vivere, ma anche che avevo bisogno di altro materiale, altre informazioni e più studio per arrivare ad un livello più alto, così sono entrato allo IED grazie ad una borsa di studio e mi sono laureato (ndr. in Sound Design)


Ad oggi, quali diresti che sono le tue influenze, visto che vieni da un background completamente diverso? Pensi che ci sia ancora qualcosa di quello che ascoltavi?


Sì, assolutamente sì! Producer che hanno in qualche modo sicuramente influenzato la mia musica sono, senza ombra di dubbio, Blawan perché è stato uno dei primi producer che ho ascoltato e che mi ha fatto impazzire; i Modeselektor, stessa cosa, con tutte le loro produzioni belle elettroniche, dure, con i synth taglienti e poi in realtà un po’ da ovunque. In realtà non riesco mai a prendere soltanto da un genere, mi piace ascoltare parecchia musica, anche classica e cose più acustiche, colonne sonore, cose che non necessariamente rientrano nel campo della musica elettronica… e prendere da ogni cosa… è difficile da spiegare perché è un processo che non si riesce a descrivere a parole…


Hai detto anche colonne sonore, ti faccio allora una domanda a brucia pelo: la colonna sonora che ti piace più di tutte, se dovessi sceglierne una?


Per tutta la vita sceglierei quella della serie tv “The Leftovers” firmata da Max Richter, per me è qualcosa di incredibile.


A proposito di musica e immagini, mi sembra che la tua produzione prenda ispirazione non esclusivamente dalla dimensione uditiva: come nasce il tuo interesse per l’aspetto più “visivo” della musica?


Mi piace osservare molto, in generale: sono una persona che osserva parecchio, ad esempio in giro, per strada, mi piace immaginare le vite delle persone, come sono vestite, che cosa stanno facendo… in qualche modo mi piace cercare di entrare nella vita della persona, oppure a livello più naturale il mare, la montagna, gli spazi aperti, gli edifici abbandonati… sono tutte cose che in qualche modo mi suscitano delle emozioni che cerco poi di raccontare attraverso le sonorità, le produzioni. Il discorso invece è diverso per le produzioni audiovisive dove c’è già un concept dietro, un’immagine definita, e lì inizialmente vado proprio a sensazione cioè cosa ti suscita quell’immagine, perché scegli quella musica, perché scegli quella composizione…




Come sei arrivato a comporre per spot pubblicitari piuttosto che fashion movie? E’ stato un percorso naturale oppure l’hai cercato…?


Un po’ naturale e un po’ per trovare i contatti e per trovare i giusti lavori è necessario impegnarsi molto, in qualche modo è stato tutto un passaparola. Ho iniziato a lavorare con delle persone e poi quelle persone hanno girato il mio contatto ad altre ed ogni volta il livello del lavoro è iniziato ad essere sempre più elevato, ero sempre più soddisfatto di quello che stavo facendo. Quindi è stato sia un passaparola sia un ricercare attivamente il lavoro ovunque


Era una cosa che comunque volevi fare?


Principalmente sì; ti dico la verità: più il sound designer, cioè proprio chiudere musiche per fashion film piuttosto che spot e cinema che produttore Un lavoro che ti è rimasto nel cuore? Difficilissimo rispondere a questa domanda… l’ultimo che mi è piaciuto un sacco è stato per la campagna di Roberto Cavalli Fall/Winter 2020




Com’è nato il tuo ultimo album? Il lockdown ha avuto degli effetti sulla sua “fase di gestazione”?


In realtà il lockdown non è stato per niente d’aiuto: il mio studio a Roma è lontano da casa mia, quindi ho dovuto recuperare le cose più importanti per poter lavorare. Pensavo di poter chiudere molte più cose, molte più produzioni ed essere più ispirato, ma in realtà non ho quasi provato emozioni quindi non riuscivo in qualche modo a comporre e a produrre, sono stati proprio due mesi di fermo. L’album “Archivio” quindi nasce da un’idea che si rifà all’arte giapponese del Kintsugi, quindi prendere delle cose vecchie per ridar loro nuova vita, e sono tracce che ho composto anche un anno e mezzo fa che ho ripreso, rimesso in ordine e a cui ho dato una seconda chance, una seconda possibilità. Ci sono anche tracce che non mi piacevano, che avevo proprio eliminato: mi sono chiesto perché alcune tracce non mi piacessero al punto di accantonarle e le ho riprese, rimettendomici con calma, le ho riadattate e alla fine ho fatto una selezione che mi è piaciuta dall’inizio alla fine


Quindi diciamo che il nome “Archivio” deriva dalla volontà di dare nuova luce a qualcosa che già esisteva…


Sì, che non avrei mai pubblicato. Con l’idea di riprenderle fino a tirarne fuori qualcosa che mi piacesse veramente


Ad esempio una di quelle che non avresti mai pensato di pubblicare?


C’è stato un problema con “Apnea” -che è la traccia che in questo momento sta piacendo quasi più di tutte le altre- perché praticamente l’ho scritta dopo un periodo molto ansioso. Dopo averla scritta in brevissimo tempo ero impazzito, mi piaceva tantissimo e pensavo addirittura fosse la traccia più bella e più triste che avessi mai scritto, ma dopo una settimana, due, tre, un mese non mi piaceva più. Avrò riaperto il progetto forse trenta volte e poi alla fine ho trovato la giusta linea guida. Forse proprio perché mi ricordava alcune cose… mi smuoveva parecchio dentro e io sono abbastanza timido e introverso sotto molti aspetti, quindi era come uscire troppo allo scoperto e dentro di me sentivo che fosse “troppo” pubblicarla


A proposito di pubblicazioni, tu hai rilasciato musica con altre label però hai anche la tua, Pyteca… com’è poter pubblicare sulla propria label?


E’ molto più bello però molto più faticoso perché in qualche modo non hai un filtro, cioè il filtro sei tu. Quindi alcune volte sei troppo cattivo con te stesso, sei troppo autocritico ed è una cosa che io faccio tutti i giorni con la mia musica, con le mie produzioni, con i miei lavori. Invece, altre volte hai la libertà che con altre etichette non avresti mai. L’idea di Pyteca è proprio quella di poter pubblicare contenuti, mischiare brani che altre etichette potrebbero non trovare interessanti accostati gli uni con gli altri o perché sono alla ricerca di qualcosa più standard, più commerciale, più vendibile. E non sempre è una cosa negativa, l’intento di un’etichetta è quello. Invece con Pyteca mi piace proprio spaziare molto e avere la libertà totale di pubblicare quello che sento più mio, insomma.


Invece che cosa cerchi negli artisti che pubblichi?


Principalmente la qualità della produzione, cioè l’idea che ci sta dietro oltre che alla bravura. Molto importante poi quella stessa libertà di cui dicevamo: gli artisti che pubblicano su Pyteca sanno di potersi divertire nel produrre qualcosa che con altre etichette, in qualche modo, non potrebbero fare. Poi mi piace molto avere un rapporto di amicizia, che si instauri una sorta di ambiente famigliare, quindi si tratta di persone che conosco o personalmente o indirettamente tramite qualcun altro o per stima reciproca ed è un clima che mi piace mantenere.


Sempre in merito alla tua label, ha un imprinting visivo molto riconoscibile: è una cosa che curi personalmente o collabori con qualche artista? Il tuo album in uscita, “Archivio”, ha in copertina un artwork interessante…


Inizialmente collaboravo con mia sorella che è un’illustratrice; dopo la nona uscita circa, con “Affrettati Lentamente” ho voluto dare una nuova immagine a Pyteca e quindi ho iniziato a cimentarmi io stesso in una sorta di “découpage”: non so usare né Photoshop né inDesign, nessuno di questi programmi (ride), ma è una cosa che ho cominciato a fare io proprio perché mi divertiva, quando avevo un po’ di tempo mi mettevo al computer anche per distrarmi, mi rilassava molto quindi tutti gli artwork da “Affrettati Lentamente” a “1993” li ho fatti io, tranne per questo ultimo album che ho deciso di collaborare con degli artisti e dei fotografi. Cerco delle foto che esprimano il concept dell’album, mantenendo comunque l’identità di Pyteca attraverso il posizionamento del logo che ricalca quello delle uscite precedenti


Che cosa puoi dirci di questa foto in particolare?



E’ un’opera di Damiano Giacomello, scattata il primo dell’anno 2020 a Lubiana, in Slovenia, alle prime luci dell’alba. Mi sono innamorato di questo scatto, guardando le sue foto, e gli ho subito domandato se potessi utilizzarlo: il fatto che sia tutto buio e la luce passi a metà attraverso questo buco riprende molto il concetto di “Archivio”, ho pensato fosse perfetta per l’artwork.


Qual è il fil rouge che hai seguito nel mettere insieme questo album?


Seguo molto i BPM delle tracce, quindi cerco di cominciare un po’ più morbido, arrivare al centro con qualcosa di più pesante e poi riscendere lentamente, a livello artistico invece si tratta proprio di un sentimento estetico, cercare di comprendere come funzionano e interagiscono meglio le tracce vicine tra di loro.


La tua traccia preferita? O se ce n’è più di una…?


Ce n’è più di una sicuramente, però “Tilde” è quella che in qualche modo mi ha preso di più perché ha proprio un sound diverso: è fresca, veloce, ha delle sonorità con cui mi sono divertito tanto a lavorare a livello creativo e con cui ho spaziato un po’ di più rispetto alle altre. Partendo dal presupposto che mi piace un sacco creare e sintonizzare suoni, cerco di creare una sonorità che ho in mente oppure riprendo suoni che ho registrato, li ricampiono, lo cambio… soprattutto con “Tilde” mi sono divertito a campionare le voci, sono tutte voci spezzettate che si ripetono; ci sono suoni molto “piccoli” che cambiano ritmica che ho creato io. Anche a livello di BPM è la più veloce, quindi mi affascinava questa idea di velocità, un po’ più rave, “gabber”. Riconosco anche un’influenza da parte delle pubblicazioni di “Trip”, l’etichetta di Nina Kraviz, quindi tutti brani non soltanto “veloci”, ma in qualche modo “allegri”. In “Dissonanza Cognitiva” ho usato un microfono a contatto sulla scrivania bloccando la parte superiore con una borraccia (ride) dove praticamente, producendo dei colpi sulla scrivania e modificando il segnale con distorsione, riverbero, eccetera… sono diventati come dei timpani, cioè proprio timpani orchestrali e molte parti sono state create così. C’è anche la mia voce modificata che racconta delle cose… mi piace un sacco sperimentare, altrimenti mi annoierei.


Si potrebbe dire che quello che fai, nonostante la sua natura digitale, abbia un’origine “analogica”, in un certo senso?


Sì, alcune volte sì perché si tratta comunque di fonti esterne, altre volte invece viene tutto dall’interno del Mac. Utilizzo software interni ed è tutto veramente molto digitale il che a me non dispiace per nulla, ci sono diverse correnti di pensiero sulla diatriba “digitale” vs “analogico”, però davvero io penso che alla fine sia il risultato quello che conti.


Mentre ascoltavo l’album, ho immaginato di sentirlo suonare in una serata. E purtroppo adesso serate non ce ne sono, tu come la vedi questa cosa? Pensi cambierà il modo di produrre e fare musica?


Un po’ sì, più che altro anche molti DJ si stanno concentrando tanto sulla produzione perché non possono più suonare o mettere dischi e quindi in qualche modo la produzione sta avendo una forte spinta, secondo me. Non so se quando tutto si sbloccherà potrebbe essere anche un bene per chi non ha il nome grosso o un cachet esagerato che non riempie settanta mila persone, però nel momento in cui tutto è dimezzato forse potrebbe esserci più spazio per persone che hanno qualcosa da dire.

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CREDITS:

Photo Erica Bellucci

Stylist Virginia Alessandra Carillo

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