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IN CONVERSATION WITH: SIMONE SAPIENZA

Liberi in un Paese poco libero di pensare autonomamente. I fiori di loto diventano lo scenario metaforico su cui fare surf: è un fiore tipico di quelle zone, bellissimo, che sorge da acque paludose. Un segno di ripresa, forza, tenacia.

M: Charlie surfs on Lotus Flowers è un progetto che ci permette di conoscere il Vietnam del dopoguerra, attraverso gli scatti documentaristici di Simone, i quali propongono come filo narrativo una forte ambiguità, una situazione di limbo tra libertà economica e controllo politico. Per iniziare con un po’ di contesto, ci racconti come nasce questo interesse per il Vietnam e questo attrito che hai trovato tra un’ascesa del libero mercato ed il potere incontrastato del partito comunista?


S: Durante i miei studi in Fotografia Documentaria presso la University of South Wales, mi sono imbattuto in decine di fotolibri sulla guerra del Vietnam, crocevia storico del ruolo del fotogiornalista di guerra, e ho riflettuto su come fosse la prima volta che stessi veramente conoscendo l’argomento, trattato in maniera superficiale durante gli anni del liceo, per poi essere enfatizzato in maniera teatrale nei meglio conosciuti film di Hollywood. Cos’era diventato il Vietnam quarant’anni dopo la fine di una guerra dal connotato simbolico così importante? Doveva esserci ben altro oltre le foto di viaggio del National Geographic. Era il 2015, quarantesimo anniversario dalla liberazione di Saigon e ho cominciato ad approfondire l’attualità del Vietnam, appassionandomi della sua attualità economica, sociale, politica. Dati alla mano, nel 2015, era l’economia maggiormente in ascesa, con un consenso ampio verso il libero mercato, con percentuali di ottimismo sul futuro incredibili rispetto al pessimismo occidentale. Con una “piccola”, per me profonda, nota dolente: era ed è tuttora una dittatura.



M: Ora che possediamo un contesto, ti chiederei di spiegarci il titolo Charlie surfs on Lotus Flowers, che a mio avviso è molto evocativo e stimolante, nonché fondamentale come chiave di lettura del tuo lavoro.


S: Ho sempre canticchiato la canzone dei Baustelle Charlie fa surf senza chiedermi veramente da dove provenisse. Rivedendo il film Apocalypse now, i Vietcong chiamati Charlie, il surf dei soldati americani nel tempo libero a Da Nang, tutto ha cominciato ad aver senso, fino alla famosa frase di Kilgore: Charlie don’t surf. Ovvero: surfare è una questione americana. Bene, quarant’anni dopo, direi che Charlie fa surf, eccome: ha vinto la guerra, ma non solo. Il processo di “westernizzazione” omogenea il tutto, liberi di ispirarsi anche a modelli occidentali, senza l’imposizione di un invasore. Liberi in un Paese poco libero di pensare autonomamente. I fiori di loto diventano lo scenario metaforico su cui fare surf: è un fiore tipico di quelle zone, bellissimo, che sorge da acque paludose. Un segno di ripresa, forza, tenacia.


Perché il progetto muta continuamente nella sua posizione artistica e sociale, continua a maturare sempre più che più persone possono sfogliarlo e dare la loro versione e reinterpretazione.


M: Trovo che il tuo progetto sia molto suggestivo. I tuoi scatti raccontano sicuramente un mondo in cui c’è tanto oriente, ma allo stesso tempo anche un’influenza occidentale. Nell’abstract hai definito la tua narrazione come “una sequenza di risposte metaforiche” a questo attrito di cui sopra. Che cosa intendi?


S: La risposta che leggerete sarà probabilmente diversa da quella che avrei dato anni fa quando scrissi quel testo. Perché il progetto muta continuamente nella sua posizione artistica e sociale, continua a maturare sempre più che più persone possono sfogliarlo e dare la loro versione e reinterpretazione. È un progetto che nasce con tanta ricerca e si chiude con una pubblicazione priva di testo proprio per lasciare quanto più libero il lettore di reinterpretarlo. Tutta quella ricerca che è stata il bacino di informazioni da cui attingere ispirazioni per le immagini, è stata poi tradotta su un livello visivo con parole chiavi e immagini metaforiche: potere, energia, accumulazione, libertà.



M: Ho notato nella tua narrazione un dettaglio che trovo molto interessante. Ad eccezione dei ritratti veri e propri, le persone tendono sempre ad essere celate, a volte con dei tagli, altre con degli escamotage. Viene data molta importanza all’azione, al gesto, ma allo stesso tempo è come se ci si discostasse leggermente dalla realtà, trovandosi in un limbo tra realtà e finzione, sottolineato da alcuni scatti in particolare. Confermi questa impressione? Se sì, ci spieghi il meccanismo?


S: C’è un costante viaggio tra realtà e finzione, immagini di vita quotidiana e immagini sospese in una realtà quasi fittizia: tutto un gioco di escamotage e pretesti che in qualche modo riflette l’elemento cinematografico di cui parlavo prima. In questa narrazione a-temporale e decontestualizzata, gli oggetti e le parti del corpo sono elevati a “ritratti”, che sono per me tanti, pur avendo pochi volti riconoscibili e fotografati in maniera convenzionale. Il volersi nascondere era una costante Nord-Vietnamita durante la guerra, e il voler nascondere è in qualche modo anche una conseguenza del potere.



M: Grazie Simone! Una storia ed un progetto che trovo molto interessante, ancora di più dopo averne colto la storia che ne racconti. Volevo infine ricordare che Charlie surfs on Lotus Flowers è un libro fotografico pubblicato da AKINA ed è acquistabile sul sito della casa editrice.


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