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IN CONVERSATION WITH: Alessio Peck


Alessio Peck ha una sola ambizione, quella di incrociare l'incarnazione e l'interpretazione di artisti come Robbie Williams, Liam Gallagher, Andrea Laszlo de Simone con i synth di Giorgio Moroder. Non importa se nessuno ci ha pensato: Alessio lo ha fatto. Il più italiano dei musicisti parigini coltiva il suo innato dono per la canzone d'autore ma avvolge il nuovo singolo in una pura trama elettronica. Geniale nasce da scambi tra loop di synth e accordi di chitarra insieme a Ross Orton, batterista degli Add N to (X) e produttore di AM degli Arctic Monkeys, di M.I.A. e Working Mens Club, tra gli altri. Sua la formula strofa/coro riverberata da strobo e discoball, una versione dark disco da Sheffield, un inno da ballare in uno stadio. Una realizzazione del sogno di Alessio Peck in una sorta di chanson dance. Disco, synth-pop, techno, dance, electro? Tutto e soprattutto: CHAN-SON.

Virtuoso strumentista, Peck suona la chitarra da quando era molto giovane e poi in diversi gruppi: gli Stags nel suo periodo londinese, la band garage Acid Tongue in quello statunitense, esperienze importanti di tour formativi fuori dall'Italia.

Da dieci anni vive a Parigi, scrive e compone esplorando la ricchezza delle armonie e continuando a fare ricerca musicale, come dimostrano le quattro tracce del suo EP di debutto America (Kwaidan, 2021) tra malinconia e disincanto.

"Voglio abbattere le barriere tra musica elettronica e rock, sfumare i confini tra cantautore e DJ", dice Peck spiegando il suo approccio sul palco.



Da dove viene la scelta di produrre il tuo ultimo album in modo totalmente elettronico? E sopratutto, in che modo ti sei avvicinato alla musica elettronica?


Più che una scelta è stato un po’ un processo dettato dalla necessità. Ai tempi del mio primo EP “America”, che avevo scritto con in testa l’idea di suonarle live con una band, mi trovai a dovermi inventare una maniera di suonare quei pezzi dal vivo da solo. Iniziai a re-arrangiare e registrare tutto in chiave lo-fi sul sequencer di una Juno DS; batterie elettroniche, archi e sintetizzatori in loop che poi lanciavo dal vivo per cantarci sopra. Quando poi cominciai a scrivere nuovi pezzi, avevo in testa questo live format e quindi portai direttamente le mie nuove idee dalla chitarra, o dal piano, al sequencer di quel sintetizzatore digitale. Eventualmente mi sono innamorato di quelle sonorità, quel set up sul palco si è evoluto in un ibrido di software e sintetizzatori analogici, e con “Geniale” ho deciso di prendere quella strada anche in studio.


Tutte le città sono dotate di un proprio sound ed ogni città è ricca di suoni e di armonia. Sappiamo che hai girato molto il mondo per poi decidere di stabilizzarti da 6 anni a Parigi. In che modo le varie città in cui hai vissuto hanno influenzato il tuo suono ed il tuo percorso musicale?


A Londra ho cominciato ad apprezzare il brit pop per la prima volta, avevo 18 anni e venivo da un back ground piuttosto hard rock. Sono cresciuto suonando la chitarra elettrica ed ero innamorato di gruppi come i Led Zeppelin, Black Sabbath etc. I miei compagni di gruppo inglesi invece si ascoltavano Arctic Monkeys, Blur e Oasis quindi mi hanno aperto a quel tipo di musica un po’ più pop. In America ho scoperto il mondo della musica psichedelica e del garage rock, prima a Los Angeles e poi a Seattle, entrambi città dove ho passato diverso tempo. In quegli anni suonavo il basso per un gruppo Americano, il che mi aiutò a valorizzare la parte ritmica e armonica della musica più che avessi mai fatto prima da chitarrista solista. In fine è stato a Parigi che ho veramente cominciato ad interessarmi alla musica elettronica, tramite il mio produttore discografico Marc, che mi ha introdotto alla French Touch e al mondo dei synth analogici. I Francesi hanno un detto: “il rock Francese è come il vino Inglese”, ma per quanto riguarda l’electro non gli si può dire niente.



Quali sono stati gli artisti e le esperienze che hanno influenzato la scrittura e la composizione del tuo ultimo album?


Diciamo che i nuovi pezzi, “Geniale” appena uscito e il resto dell’album che è in progress, sono molto introspettivi e auto-riflessivi. La scrittura per me è un po’ un processo terapeutico, spesso parte dai sogni che faccio, altre volte da sentimenti che ho bisogno di elaborare. Durante il periodo della pandemia ho letto parecchia psicologia, particolarmente Jung e Freud. A livello di artisti musicali è difficile dirlo perché al momento ascolto di tutto e di più, da Miles Davis a Peggy Gou passando per Vasco Rossi.


Il ruolo del produttore musicale è essenziale per la creazione e la distribuzione della propria musica. In questo album hai collaborato con alcuni dei migliori produttori in circolazione. Come è stato lavorare con questi ultimi per la finalizzazione dei brani del tuo ultimo album?


Non potrei essere più d’accordo. Credo molto nei produttori con cui lavoro, da Cristopher Bacco (Bobby Solo, Afterhours) a Marc Collin (Nouvelle Vague) e Ross Orton (Arctic Monkeys, M.I.A.). Lavorare con queste persone mi permette di concentrarmi sulla scrittura e sulla visione globale del progetto. Trovo sia importante riuscire a distaccarsi in qualche modo dalla propria musica, lasciare andare e perdere un po’ il controllo del prodotto finale,


Quali sono i tuoi prossimi progetti? E come intendi sviluppare ulteriormente il tuo stile musicale?


Prossimi progetti prevedono date in Italia oltre che in Francia, specialmente dopo la calorosa accoglienza ricevuta dal pubblico di Ligabue, quando ho aperto al suo concerto lo scorso Gennaio. Per quanto riguarda lo sviluppo del mio stile musicale, al momento la mia attenzione è tutta su quest’album che sto registrando e le sonorità che sto ancora esplorando in studio.


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